Il “chiodo fisso” ovvero un pensiero circolare che “satura” lo spazio mentale dell’individuo, accompagnandolo nel quotidiano, durante l’addormentamento, il sonno e il risveglio, conferendo al soggetto spiacevoli sensazioni emotive, come ansia, angoscia, timore e frustrazione.

chiodofisso

Il chiodo fisso rappresenta una preoccupazione, che si impone su tutte le altre; ci genera un bisogno non demandabile di venire a capo di ciò che ci tormenta. Molte volte il chiodo fisso si origina da un pensiero, improvviso come una folgorazione, una sorta di presagio, che fa nascere in noi il dubbio che potremmo essere persone a dir poco spiacevoli, o che potrebbero accadere cose orribili, riconducibili ad una nostra mancata attenzione.

Ci sentiamo allora investiti da una sorta di dovere a dirimere la questione; una necessità, talvolta di ordine morale, che ci porta a mettere in atto tutto quello che noi riteniamo possa prevenire o assolutamente disconfermare quanto da noi temuto. E’ dunque immaginabile come questa condizione tenda a generare una grande sofferenza, quando il più delle volte si ha la sensazione che non si riesca a dirimere la questione.

La potremo definire un’insostenibile dimensione di incertezza, che ci motiva ad incessanti controlli per eliminarla, perché solo così crediamo si possa tornare a vivere serenamente. Il chiodo fisso può diventare un inconfessabile segreto, un tormento che abbiamo difficoltà a condividere con altri, nel timore di essere confermati nelle nostre paure o di essere comunque presi per pazzi.

Sebbene chi ne soffra, ritenga di essere vittima di un fenomeno unico, e per questo non così facilmente condivisibile, quella del chiodo fisso è un’esperienza universalmente diffusa. I chiodi, fissi o meno, sono essenzialmente pensieri; pensieri brutti, osceni e sconcertanti nel contenuto, minacciosi, disgustosi; pensieri che rimandano a degli esiti catastrofici per la propria salute, per la propria reputazione, per l’integrità delle persone vicine. Possono coglierci come fulmini a ciel sereno, oppure essere innescati da un fatto concreto; e chiunque di noi ne è ”vittima”.

Vengono chiamati pensieri intrusivi, proprio a sottolinearne la modalità di apparizione alla nostra coscienza, nel senso che catturano la nostra attenzione per la loro “stranezza”. Gli argomenti terrifici a cui rimandano sono prototipici; in genere i più diffusi riguardano pensieri che conducono al timore di essere “cattivi, pericolosi”, disgustosi in termini morali, oppure disgustosi in termini in termini fisici, epidermici. Ma essenzialmente, la cosa più importante, è che sono pensieri, cioè semplici fenomeni cognitivi, che intrattengono una relazione con il cervello come quella tra le foglie e gli alberi, o meglio ancora come quella tra le nuvole e il cielo.

Così, se non ci soffermiamo particolarmente sul fatto che nella nostra mente si affaccino pensieri positivi, non altrettanto facciamo se nella nostra mente si affacciano pensieri brutti. In quel caso, ci chiediamo il perché di quel pensiero, il perché lo abbiamo generato, e ce ne sentiamo in colpa; colpa, magari di essere una persona cattiva, perchè crediamo che le persone buone questi pensieri non li facciano, e riteniamo che questi pensieri non vengano a caso, ma che possano essere prodotti solo dalla mente di una persona che cova desideri terribili, osceni. I chiodi diventano quindi più o stabilmente “fissi” nella misura in cui crediamo a quanto sopra; cioè che per i pensieri positivi valgano leggi diverse che per i pensieri negativi. E diventano ancora più fissi se riteniamo ci sia un modo per non averli, e che ci sia un modo per essere sicuri che che non significhino le cose che temiamo.

Allora un fenomeno casuale, come quello di un pensiero intrusivo, che tutti hanno, diventa un fenomeno causale, perchè la strategia che noi adottiamo per non averlo è la più efficace per la sua riproduzione.

Il nostro intervento, quindi è rivolto a quelle convinzioni che trasformano un’esperienza universale come quella dei pensieri intrusivi, il nostro chiodo, in un problema che può condurre a livelli anche gravi di sofferenza e menomazione della propria vita quotidiana. Intervenire, quindi, non sul chiodo, ma sui quei processi che lo rendono fisso.